Cari Amici,
cosa non farebbe Teresita pur di raccontarvi di luoghi e di cose degni di essere raccontati e conosciuti! Finirebbe persino dietro le sbarre... Sto scherzando, naturalmente, ma neanche troppo perché questa volta in una prigione ci sono stata davvero e con il post che state leggendo ci porterò pure voi. Andiamo a visitare l'ex carcere borbonico di Terra Murata, a Procida (NA), "l'isola nell'isola" come l'ha definito il dottor Giacomo Retaggio, per un quarto di secolo medico dell'istituto di pena e autore di un interessante libro che porta proprio questo titolo. Quando si parla di giustizia il discorso non è mai semplice, tuttavia l'argomento merita una riflessione e certe esperienze possono essere illuminanti.
Tra il 1560 e il 1570 il cardinale Innico d'Avalos, feudatario di Procida e Ischia, volle mettere mano a una grande opera: un palazzo all'altezza del suo rango. Nel 1580 era finita anche la piazza d'armi e quindi il religioso blasonato predispose pure la recinzione del borgo con delle mura che circondavano le case. Fu così che il paese antico prese l'attuale denominazione di Terra Murata. Vi si accedeva attraverso la porta di Mezz'Omo che veniva chiusa la sera. Il palazzo mostrava due facciate: quella esterna a strapiombo sul mare, massiccia e spartana per incutere timore, e quella gentilizia all'interno.
Purtroppo però, dopo i fasti giunsero i debiti e i d'Avalos persero il maestoso palazzo che passò ai Borbone. I nuovi regnanti lo utilizzarono come dimora estiva fino a quando, nel 1830, Ferdinando II decise di adibirlo a bagno penale. Inutile dire che la struttura fu del tutto snaturata e che di quel palazzo non è rimasto proprio nulla. Dagli immensi saloni furono ricavati celle e corridoi, il tutto a discapito degli affreschi e delle decorazioni che certamente abbellivano le volte a vela. Ora come ora l'ex carcere non sembra né un carcere né un palazzo; è un maestoso monumento che ha un po' dell'uno e un po' dell'altro e che ispira tanta soggezione.
Il dottor Retaggio vi entrò per la prima volta a venticinque anni, laureato da appena tre mesi. All'epoca il medico ufficiale era il dottor Agostino Andreaggi di Napoli che ogni mattina approdava presto sull'isola per andare via ancora più presto e lasciare i detenuti senza assistenza. Una sera, uno di loro, nel pieno di una crisi autolesionista, si procurò delle serie ferite alla testa facendo, come dicono qui, "capa e muro". Dopo aver chiesto invano l'intervento di altri tre medici isolani, le guardie prelevarono il giovane dottore che passò la notte a ricucirlo.
Siccome episodi simili non erano l'eccezione e all'epoca il dottor Retaggio era un buon lavoratore a costo zero, finì che le guardie bussassero regolarmente alla sua porta. Fortuna volle però che Andreaggi rinunciasse al suo incarico e che vi potesse subentrare lui con uno stipendio mensile di 38.000 lire. La paga non era soddisfacente, neanche per quegli anni, e ci volle un decennio per arrivare a 70.000 lire, più o meno un lustro per arrotondare a 100.000 e i rimanenti dieci anni per poter affermare di avere un vero stipendio.
Nel 1978 il carcere vecchio venne pressoché abbandonato e nel 1988 quello nuovo venne chiuso definitivamente. Il racconto però non finisce qui. Nella seconda puntata di questa storia scopriremo, attraverso i ricordi del dottor Retaggio, come si svolgeva la vita dentro le sue mura e come funzionava all'epoca il sistema carcerario. Faremo inoltre il nome di qualche personaggio "illustre" che scontò qui la sua pena. Cose dell'altro mondo, insomma, di un mondo che guardava al mare, simbolo di libertà, e aveva nel cuore il peso delle catene.
0 Comments:
Posta un commento