Cari Amici,
dopo essere entrati nei meandri del gusto ed esserne usciti oltremodo soddisfatti, eccoci impegnati in una nuova case history, la "storia di un caso". Ci accingiamo, infatti, a esplorare uno di quegli universi sconosciuti che molto spesso abbiamo giusto sotto casa, il diamante della porta accanto per intenderci. La storia che sto per raccontarvi è davvero incredibile, ma per farlo non posso rimanere in superficie, devo necessariamente scendere in profondità.
Partiamo ancora una volta da un nome: Santa Barbara. Così si chiama il grazioso e accogliente agriturismo in contrada Quadrone dove ogni sera ci concediamo un po' di riposo. Un tempo non molto lontano era un villaggio di case basse in cui abitavano i "pellerossa" o "diavolini rossi", cioè quegli operai che a poche centinaia di metri svolgevano un lavoro molto particolare... Santa Barbara, solennemente festeggiata il 4 dicembre, era la loro patrona e loro erano i minatori della miniera di bauxite di San Giovanni Rotondo.
Dopo essere stati per tre giorni opportunamente istruiti da Salvatore Mangiacotti, presidente del locale Centro Studi Miniera di Bauxite e autore di diversi volumi sull'argomento, ci abbigliamo con tuta bianca e caschetto e insieme agli amici del gruppo speleologico "Sperone", capeggiato dal veterano Michele Lomelo, inziamo la discesa in uno dei siti archeologici industriali più importanti d'Italia. Mentre visitiamo gli impianti esterni sento che ci stiamo addentrando non solo in un luogo fisico ma soprattutto nei ricordi e nei sentimenti di almeno tre generazioni.
La miniera di San Giovanni Rotondo si riassume tecnicamente in pochi numeri di tutto rispetto: 1640 ettari di estensione, 147 metri di profondità, 22 livelli, 6 chilometri di gallerie, due discenderie e un pozzo con ascensore. Il sito fa parte degli undici di Puglia e delle tre miniere di bauxite della stessa regione. La differenza con Murgetta Rossa (Spinazzola) e Otranto sta proprio nel fatto di essere sotterranea. La scoperta del minerale avvenne ai primi del Novecento ad opera di Giovanni Pompilio, un contadino emigrato in America, che casualmente notò il colore rosso della terra e lo collegò alla presenza della bauxite.
Le prime segnalazioni arrivarono agli organi competenti nel 1920 e solo sedici anni dopo, nel 1936, la società Montecatini (poi divenuta Montedison) installava gli impianti. Nel 1937 iniziarono ufficialmente le estrazioni. Siamo nel periodo fascista e anche la miniera di San Giovanni Rotondo è lì per assecondare la mania di autosufficienza del regime che aborriva le importazioni. Nonostante i costi di mantenimento e di trasporto, la "bauscite" (il fascismo dall'estero non importava neppure le lettere dell'alfabeto) dava lavoro a circa mille persone: settecento in galleria e trecento nel vicino porto di Manfredonia dove il minerale veniva portato sui piroscafi a mano nelle ceste e quindi inviato a Porto Marghera per la lavorazione.
Nel 1939 un fierissimo Mussolini si reca in visita alla miniera e poiché il dare lavoro non gli sembrava abbastanza chiede alla Montecatini di fare di più: costruire un villaggio adiacente che fornisse ai minatori dei servizi aggiuntivi. La Società non può rifiutarsi e fonda un villaggio minerario con dei dormitori, uno spaccio, una sala riunioni e persino un allevamento di mucche da latte.
Nell'idea del Duce un'azienda, oltre a una retribuzione adeguata, doveva offrire anche delle condizioni di lavoro convenienti e in effetti, per i tempi che correvano, la miniera di bauxite di San Giovanni Rotondo era più che all'avanguardia. Oltre che dello stipendio fisso che sostituiva la tradizionale paga a cottimo, i minatori disponevano di una settimana di ferie retribuite. In occasione della festa patronale di Santa Barbara, poi, giungeva dall'amministrazione centrale un pacco regalo contenente viveri di ogni genere affinché ciascun minatore potesse lautamente banchettare con la propria famiglia.
Non è necessario essere sociologi per comprendere quali ripercussioni abbia potuto avere questa realtà nella vita di un tranquillo centro agricolo dove il più delle volte le famiglie non avevano assicurato neppure un pezzo di pane. Dalla miniera si estraeva, idealmente, anche il riscatto sociale che cambiò il volto e il carattere di un'intera comunità. I minatori comprarono case e beni, fecero studiare i propri figli, trascorrevano le vacanze al mare. Soprattutto però uscirono da un secolare individualismo e scoprirono la solidarietà della classe operaia.
Insomma, una rivoluzione industriale di noialtri che fino al 1973, anno in cui la miniera fu chiusa per costi eccessivi, unì tante persone nella buona e nella cattiva sorte. Sì, perché la miniera elargì grandi speranze ma inferse anche profonde ferite, fece miracoli e vittime. Forse più che di storia della miniera bisognerebbe parlare di storie della miniera. Ce ne sono tante e vorrei raccontarvele tutte, ma per ragioni di spazio posso solo accennare a quella del professor Gaetano Palladino, entrato nelle gallerie con la quinta elementare e uscito con una laurea in chimica industriale.
Fuori dalla miniera il sole illumina i campi coltivati a grano. C'è molto silenzio da queste parti, e tanta dolcezza. Ci lasciamo alle spalle qualcosa di meraviglioso, qualcosa che ha mutato l'orientamento del cuore, qualcosa che ha trasformato il nostro educational in edumotional. Ancora una volta, tanto per non cambiare.
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