Cari Amici,
tempi mesti per noi travel addicted! Zone rosse, arancioni, gialle, sfumate e rinforzate rendono troppo impegnativa persino l'idea di un viaggio. Si va avanti a botte di ricordi e nostalgie oppure, in sostituzione, andandosene virtualmente in giro da un capo all'altro del mondo. Anche noi, oggi, viaggeremo... in un ricordo. Entreremo in un museo molto particolare, aperto al pubblico solo in rarissime occasioni, la cui visita richiede qualche precauzione. È il Museo di Anatomia Umana, facente parte del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli". Io ci sono stata un paio d'anni fa, durante il Maggio dei Monumenti a Napoli, e per mia fortuna è andata bene, senza fastidiose conseguenze.
L'accesso è vietato ai minori di 14 anni. Nell'anticamera, un addetto accoglie i visitatori dando loro poche e chiare direttive: tornare immediatamente indietro se si avvertisse un senso di disagio o l'approssimarsi di un mancamento e, in ogni caso, valutare bene se si è in grado di visionare l'ultima sezione, ovvero la Collezione delle Mostruosità. E ha pienamente ragione! In questo museo, infatti, tranne qualche eccezione, è tutto "vero" poiché si tratta di materiale di studio per i futuri medici.
Il Museo di Anatomia risale al XVII secolo, epoca in cui mentre le scienze anatomiche facevano passi da gigante si rilevava pure una scarsità di cadaveri sui quali studiare. Quindi il Museo nasce come una sorta di archivio di pezzi anatomici preparati, conservati e messi a disposizione degli studenti di medicina. Nel 1871, il cosiddetto Gabinetto di Anatomia viene trasferito dal Collegio del Salvatore all'ex convento di Santa Patrizia, dove si trova tuttora. Chiuso a causa del secondo conflitto mondiale e danneggiato dal terremoto del 1980, bisognerà attendere il 1997 per riaprirne le porte. Oggi il Museo rappresenta una delle cinque sezioni del MUSA - Museo Universitario delle Scienze e delle Arti, gestito da un direttore e da un comitato scientifico. Tramite un'app gratuita è possibile avere una guida dettagliata durante la visita.Una volta varcata la soglia si viene assaliti da una irresistibile curiosità. Ci si aspetta visioni da film horror, ma il percorso inizia con degli innocui attrezzi del mestiere: ferri chirurgici di epoca romana, microscopi, bilance a due piatti, primi registratori a nastro e videocamere per la ripresa delle autopsie. Seguono pezzi interessanti come l'Omero di Andrea Vesalio, un cimelio di "inestimabile valore" proveniente da uno scheletro preparato dal medico fiammingo a Basilea nel 1544. Anche la collezione degli scheletri non è male, ve ne sono di antichi e di più recenti (seconda metà del XIX secolo). A quei tempi, l'interesse della medicina era focalizzato sui vari stadi di ossificazione e soprattutto sulle gravi alterazioni scheletriche congenite.
Prima della collezione di crani vera e propria, la chicca è rappresentata dai trofei Jivaros. Questa tribù ecuadoriana abitava le rive del Rio delle Amazzoni e nel XVI secolo era tristemente famosa per la caccia alle teste. I Jivaros avevano messo a punto una tecnica per rimpicciolire e conservare le teste dei nemici sconfitti. Dopo aver asportato le ossa del cranio e della faccia, essiccavano la cute con ciottoli roventi fino a dimezzare e anche di più le reali dimensioni. I trofei venivano chiamati tsantsas. I crani, invece, provengono dai vari siti archeologici campani, tranne quattro che appartengono a dei giustiziati del 1800 nel Tribunale della Vicaria. Essi sono Giuditta Guastamacchia con suo padre Nicola, il chirurgo Pietro de Sandoli e Michele Sorbo, sicario assoldato per uccidere il marito di Giuditta. Tutti presentano i segni che indicano le varie aree cerebrali.
Passando in rassegna le varie vetrine si possono ammirare esemplari sottoposti a essiccazione, un esempio di calcinazione (metodo alternativo al seppellimento e alla cremazione), vari preparati di parti di corpo umano in formalina o alcool, corpi interi mummificati con iniezioni colorate intravasali. Insomma, già così potremmo dire di aver visto abbastanza, ma arrivati a questo punto una vocina suggerisce che non si possono perdere gli ultimi 25 m² di esposizione.
Gli ultimi 25 m², la Collezione delle Mostruosità, custodiscono i 153 esemplari di feti non formati o malformati, conservati sempre in formalina o alcool. A giudicare dalla loro quantità e qualità, lo studio delle malformazioni prenatali doveva essere un'altra parte importante delle scienze anatomiche. Questo perché tali casi erano molto meno sporadici rispetto a oggi e anche perché la medicina d'allora non aveva i mezzi adatti né per prevenirli né per intervenire su di essi. Qui si comprende davvero che gli ammonimenti dell'addetto non erano da sottovalutare: la Collezione è a dir poco impressionante, considerando il fatto che non siamo di fronte a delle riproduzioni.
Siamo così alla fine del racconto e credo che abbiate già pronta la domanda: perché dovremmo visitare un posto del genere? Cosa potremmo imparare? Innanzitutto che il corpo umano, sebbene fragile e soggetto a imperfezioni, è un'opera d'arte, un meccanismo complesso e preciso. La ricerca scientifica è il modo che abbiamo per conoscerlo e la conoscenza, in un'ottica di tutela della propria salute e incolumità, è alla base del rispetto di questa macchina che mai e poi mai dev'essere portata a superare i suoi limiti strutturali. Anche la medicina, laddove rimanga fedele al suo significato originario (dal latino medeor, rimediare, curare), è una delle massime espressioni del genio umano. Ecco ciò che "vedrete" al Museo di Anatomia Umana di Napoli, un luogo eccezionale dove non si va per il gusto del macabro ma piuttosto per amore del sapere.
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